FONDI ATTIVISTI, CORPORATE GOVERNANCE E
CONTROLLO AZIONARIO. IL CASO
ALGEBRIS-GENERALI.
Art
der Uni-Arbeit: Bachelorarbeit
Fachrichtung:
Business Management
Autor/-in: Fabio Parisi
Conclusioni:
il quadro italiano dell’attivismo degli hedge funds e le prospettive degli attivisti
in Italia
Per quanto il quadro regolamentare abbia limitato la capacità dei fondi hedge
di accedere ai capitali di investimento, l’industria italiana dei fondi di
fondi è cresciuta abbastanza rapidamente a partire dal 1999. Il patrimonio
lordo gestito ha raggiunto i 30 miliardi di euro alla fine del 2007, per poi
contrarsi a causa della crisi finanziaria recente. Analogamente, il numero dei
fondi è incrementato fino a raggiungere nel 2008 i 224 fondi di fondi, i 20
fondi puri e i 10 fondi di fondi con strategia mista. Nel giugno del 2009 erano
attivi in Italia 226 hedge funds.
Dal 2005 al 2009 gli hedge funds sono passati dal 3,4% al 4,2% del
totale dei fondi italiani.
Se l’operatività degli hedge funds italiani è facilmente censibile, non
è agevole individuare il numero dei fondi attivisti che operano in Italia. Dal
momento che essi agiscono come investitori privati, non è prevista la loro registrazione
o una specifica autorizzazione da parte della Banca d’Italia o di un’altra
autorità. Quindi, ad esclusione dei fondi che detengono più del 2% del capitale
di una società quotata o che sottostanno a disposizioni regolamentari che
impongono una dichiarazione pubblica della partecipazione in società quotate,
tutti gli altri attivisti risultano «following an activist strategy may direct
their investments without being easily detectable»31.
Secondo una ricerca condotta dal Sole 24 Ore nel 2008, il peso degli
investimenti effettuati dagli otto maggiori hedge funds attivi nelle società
quotate nella Borsa Italiana sono sensibilmente cresciuti nel 2007,
raggiungendo il valore totale di 2,2 miliardi di euro nel febbraio del 200832. Questo ammontare può apparire
modesto se messo a confronto con la capitalizzazione totale del mercato, pari a
644.5 miliardi di euro.
Esso attestava, però, prima della crisi finanziaria della seconda metà
del 2008, una crescente tendenza positiva.
Alcune statistiche di MondoHedge permettono inoltre di censire con
maggiore precisione gli hedge funds che detengono una partecipazione superiore
al 2% del capitale in una società quotata. Questi fondi erano 29 a metà del
2008, con un investimento totale pari a 1.1 miliardi di euro (a fronte di una
capitalizzazione totale di 630 miliardi di euro). Molti di questi fondi sono single
manager funds che seguono strategie event driven o opportunistiche.
E’ utile ricordare come nella la strategia event driven o risk arbitrage
il gestore focalizza la sua attenzione sugli eventi societari straordinari o
comunque di rilievo. Le società che interessano i gestori sono, quindi, quelle
che stanno attraversando cambiamenti strutturali, come fusioni, acquisizioni, o
che sono in fase di ristrutturazione (turnaround) o di ricapitalizzazione o,
ancora, che presentano condizioni di instabilità economico-patrimoniale e che
sono soggette a procedure concorsuali. Rientrano nella categoria degli eventi
specifici anche le scissioni o gli scorpori, le acquisizioni o cessioni di
partecipazioni, le dispute legali di una certa rilevanza33. La strategia opportunistic
raccoglie, invece, un ampio ventaglio di strategie molto differenti tra loro.
In generale i gestori inseguono il profitto cercando il modo e il momento
opportuno per la realizzazione dell’investimento, utilizzando la
diversificazione del portafoglio come elemento di contenimento del rischio.
Queste strategie sono riunite nella stessa classe perché presentano un alto
livello di volatilità e una notevole esposizione ai rischi del mercato34.
Una ricerca condotta da Erede nel 200835 permette di evidenziare come
gli hedge funds in Italia siano riconducibili a due gruppi: quelli che
intervengono nel capitale societario allo scopo di promuovere un’operazione di
finanza straordinaria e quelli che si attivano allo scopo di modificare il business
plan societario.
La stessa ricerca ha sottolineato alcuni aspetti generali
dell’operatività dell’attivismo in Italia: le società partecipate appartengono
a campi operativi diversi, hanno differenti capitalizzazioni di mercato e
diversi earnings ratios, ecc. Nessuna di queste variabili sembra determinante,
quindi, nel favorire l’attenzione degli hedge funds per alcune specifiche
imprese target. Analogamente un impatto limitato sembra avere la struttura
proprietaria: 34 delle 40 società quotate presentano un singolo azionista di
controllo, nove sono controllate da un gruppo di azionisti e sette di esse da
un azionariato più disperso. Ciò dimostra come anche un assetto proprietario
molto concentrato non disincentivi le strategie partecipative degli hedge funds.
Un altro aspetto evidenziato dalla ricerca riguarda la strategia
perseguita dai fondi attivisti in Italia. La maggior parte di essi non esercita
diritti di voto, in particolare il diritto di proporre un candidato di
minoranza nel consiglio di amministrazione. Come sottolinea Erede, questo
fenomeno ha due spiegazioni: “first, hedge funds may have been planning to
disinvest in the (very) short run rather than having the purpose to “act
passive”; second, hedge funds may have been holding their investments and
making their decisions in order to support rather than to challenge the
majority shareholders, and thus to obtain some economic or (in a broader sense)
relational advantages other than those made possible by following a genuinely
activist strategy”36.
In generale gli hedge funds assumono, quindi, una strategia passive sia
in ordine all’elezione di propri rappresentanti negli organi di vertice, sia per
quel che riguarda il supporto a specifiche liste di candidati37. La stessa
strategia di exit tramite la dismissione delle azioni è stata, nel biennio
2007-2008, molto limitata (solo cinque fondi hanno utilizzato questo strumento:
Centaurus e Gandhara in Impregilo, Centaurus e Golden Tree in M&C, LP in
Vianini Industria e Sopaf in I Viaggi del Ventaglio), mentre un numero molto
maggiore di fondi ha incrementato la propria partecipazione (ad esempio Egerton
in Cir, Parvus in Gruppo Mutuionline, Mitchell in Impregilo, Sal. Oppenheim e
Cerberus in M&C, Trident in Panariagroup, Leonardo in Premafin, Modulus in
Gefran, Cantillon in Interpump). In questo quadro sono individuabili, comunque,
alcune significative eccezioni: si tratta di fondi che, detenendo quote
partecipative significative, esercitano anche i propri diritti di voto e fanno
pressione sul management allo scopo di orientare le strategie operative della società.
Come si è messo in evidenza nel corso del lavoro, i fondi speculativi
influenzano spesso in modo significativo la governance della società. Si hanno,
infatti, quattro diverse direttrici che operano nello stesso momento e che si
intersecano tra loro: le norme giuridiche (la cosiddetta governance normativa);
i movimenti di mercato; le decisioni degli organi societari nella gestione del
fondo e le pressioni che il fondo può esercitare sulla società.
Il primo aspetto da ribadire è quello relativo alla figura del fondo
speculativo come shareholder. Gli studi compiuti sul tema hanno evidenziato
come “hedge fund activists improve both short-term stock performance and
long-term operating performance of their targets. The most dramatic changes in
performance accrue to targets of aggressive activism, especially when the
activists seek corporate governance changes and reductions in excess cash.
Additionally, hedge funds themselves benefit from activism: the risk adjusted
annual performance of hedge funds practicing aggressive activism and/or seeking
changes in corporate governance is about 7-11% higher than for non-activist
hedge funds and hedge funds pursuing less aggressive activism”38.
La realtà è però più complessa, dal momento che va distinto il contesto
anglosassone da quello italiano. Anche se si tratta di uno strumento dinamico,
con elevato livello di rischio, tale da giustificare periodi di gestione più
brevi, dai primi anni ’90 negli Stati Uniti l’influenza sulle dinamiche di
mercato e sulla gestione delle società è stata notevole39. Si tratta di un
fenomeno spiegabile se si assume una concezione meno tradizionale di shareholder
(come, cioè, azionista di una società che esercita per il tramite della propria
quota un controllo più o meno esteso sulla stessa) che tenga presente alcuna
caratteristiche. La prima peculiarità fondamentale è l’assenza di una
regolazione approfondita dei fondi
speculativi. Poiché, almeno sul mercato statunitense, ciò legittima la
possibilità per cui i fondi acquistino in breve tempo larghe porzioni della
società, automaticamente questa circostanza li rende uno strumento ideale per
intervenire sulla governante della società stessa. I gestori dei fondi
speculativi godono di maggiore libertà operativa. In altri termini, poiché
investono i loro fondi personali, e rischiano dunque in prima persona,
automaticamente il loro operato si allinea
maggiormente a quello dei singoli investitori, consentendo loro di
convogliare parte dei voti di questi a loro favore, ed accrescere dunque le
possibilità di controllo della società.
Diversa è la situazione del mercato europeo ed italiano, dove questo
strumento è stato regolato in maniera più approfondita e vincolante40. Questa
circostanza ha in parte ostacolato il tentativo di controllare le società per
il tramite di questi fondi, anche se non mancano esempi di particolare
attivismo dei fondi, come nel caso dei fondi Fidelity, Amber e Dkr che nel 2007
hanno reclamato una svolta nella governance e nella strategia della Banca
Popolare di Milano per creare più valore per gli azionisti, e nel caso
Algebris-Generali analizzato in precedenza. Nel caso specifico delle società
italiane quotate l’attivismo deve fare i conti con la presenza, negli assetti
azionari, di forti concentrazioni di comando, alle quali è particolarmente
arduo contrapporsi. Esso, inoltre, è influenzato negativamente dal carattere
“banco-centrico” della finanza italiana.
Ciò che è avvenuto anche in Italia è il riflesso di un processo avviato
da anni negli Stati Uniti e negli altri Paesi europei. Già nel 2005 in Germania
infatti gli hedge hanno esercitato pressioni sui vertici della Deutsche Börse
allo scopo di ostacolare il tentativo di scalare il London Stock Exchange. Più
di recente i fondi attivisti si sono mobilitati in Hsbc, la seconda banca del
mondo, e nella primavera del 2007 hanno partecipato al confronto tra la
Barclays e la cordata formata da RbS, Santander e Fortis per la conquista di
Abn Amro.
Sia nel contesto anglosassone che in quello europeo l'attivismo dei fondi
alternativi, cioè di hedge fund che non si limitano più a investire nelle
imprese ma vogliono intervenire direttamente sulla loro governance e sulla loro
strategia per creare più valore, è ormai una realtà. Naturalmente i fondi
attivisti perseguono l’obiettivo della moltiplicazione dei profitti, anche a
costo di mosse rischiose e più attente al breve che al medio e lungo termine.
Peraltro gli hedge fund, come del resto i fondi di private equity o come i
nuovi fondi sovrani, sono in grado di spostare, anche per effetto della leva
finanziaria, ingenti capitali e rimangono a pieno titolo, nonostante la
profonda crisi finanziaria globale, tra i protagonisti della finanza e dei
mercati internazionali.
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